“Un mondo di sostenibilità plastica” 

L'industria del riciclo

Riciclo
L’industria del riciclo: attori, materiali, applicazioni In Italia attualmente (2009) ci sono circa duecento imprese per le quali il riciclo costituisce la principale attività, più un numero almeno equivalente di altre società che riciclano per lo più scarti di stabilimento acquistati da terzi. Secondo le statistiche della Federazione Gomma Plastica, che ogni anno conduce un’indagine presso i riciclatori, nel 2006 sono state riciclate circa 1.350 kton di materie plastiche delle quali più della metà (703 kton) provenienti da rifiuti post-consumo, cifra di tutto rispetto se la si confronta con le circa 4.000 kton di produzione di materie plastiche vergini. L’industria italiana del riciclo di materie plastiche è una delle più grandi al mondo (seconda soltanto a Cina e India) e sicuramente la più titolata. In questa sezione la direttrice di Materioteca®, Diana Castiglione, fornisce una breve trattazione del tema riciclo all’interno del settore plasturgico. Cliccando i diversi titoli si potrà approfondire il relativo argomento.

IL RICICLO: DAL PROCESSO APERTO AL PROCESSO CHIUSO

Negli anni in cui le materie prime abbondavano e avevano un prezzo contenuto si è istituito un processo produttivo tendenzialmente aperto dal punto di vista del bilancio materiale.

La filiera produzione/consumo/smaltimento CLICCA SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRE

Con lo spostamento degli obiettivi ambientali dal risanamento alla prevenzione è stata messa a fuoco con estrema chiarezza l’importanza strategica della chiusura dei cicli, di tutti i cicli, siano essi naturali o artificiali. L’obiettivo non è più adottare processi puliti per far fronte all’inquinamento locale, bensì il cercare di sviluppare “prodotti puliti”, che minimizzino il loro impatto ambientale complessivo, dalla “culla alla tomba” o meglio dalla concezione alla risurrezione dei beni. E’ ormai divenuto di dominio comune che il principale problema ambientale risiede nella continua e irreversibile trasformazione operata dall’uomo di risorse in rifiuti, cioè nella linearità del percorso. Nel caso delle materie plastiche di origine petrolchimica si ha la progressiva conversione di una risorsa non rinnovabile, i materiali fossili, in rifiuti che si accumulano nell’ambiente o, ancor peggio, che vengono termodistrutti senza recupero energetico. Queste considerazioni hanno dato inizio al progressivo sviluppo di una ecologia dell’artificiale, dove si creano cicli chiusi artificiali quando quelli naturali non esistono o non bastano più. Per le materie plastiche questo significa riuscire a creare un sistema dove i polimeri derivati da petrolio o gas naturale si mantengono all’interno del ciclo del carbonio fossile, sfruttando tutte le possibilità: riuso, riciclo, recupero energetico. Oppure si mantengono all’interno del ciclo delle biomasse quando sono polimeri di origine naturale. Le strade che percorre la ricerca nel settore sono quelle orientate tanto all’ottimizzazione del percorso di andata (da risorsa a rifiuto) quanto contemporaneamente a quello di ritorno (da rifiuto a risorsa) attraverso lo sviluppo di materiali nuovi od opportunamente modificati, di tecnologie di separazione e riciclo, oppure ancora di ridefinizione dei criteri di concezione dei beni stessi (ecodesign).

I possibili punti di ritorno CLICCA SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRE

Dal punto di vista economico i maggiori problemi sorgono nelle risorse necessarie per creare i circuiti di ritorno: la logistica dell’andata (dal produttore al consumatore) è stata sviluppata nel corso degli ultimi secoli, mentre quella del ritorno muove i primi passi. Abbiamo l’obbligo di conferire gli imballaggi post-consumo soltanto da qualche anno, anche i manufatti usati elettrici/elettronici e le automobili (nonché, questo da molti anni, le relative batterie). Per ognuna di queste filiere è necessario creare un sistema economico di incentivazione del consumatore verso il conferimento, un ente coordinatore del sistema, centri di raccolta e separazione, ecc. Il tutto comporta investimenti molto rilevanti.

CHIUDERE IL CERCHIO NELLA FILIERA PETROLCHIMICA

Vi sono molte vie possibili per ritornare le materie plastiche al ciclo petrolchimico. In forma molto schematica le alternative sono illustrate nella figura seguente.

La filiera petrolchimica e il riciclo CLICCA SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRE

Una prima forma di riciclo è costituita dal riuso, sia questo di un componente (es. una portiera d’auto), di un imballaggio (es. cassette ortofrutta, contenitori per liquidi) o dell’oggetto in sé. Ed è quella che garantisce il massimo della conservazione ma è anche la meno praticabile, presentando grossi problemi dal punto di vista igienico. In molti casi i costi ambientali dovuti al poter garantire la salubrità del manufatto ripristinato sono maggiori di quelli del riciclo. La via attualmente più praticata è quella del riciclo termomeccanico. Con i materiali termoplastici si riottengono granuli idonei alla lavorazione mediante i normali processi esistenti. Con i termoindurenti si ricavano per lo più macinati, impiegabili come cariche inerti oppure, come nel caso dei poliuretani, per produrre agglomerati. Esistono, ma vengono poco impiegati, processi per il riciclo dei termoindurenti mediante stampaggio a compressione. La qualità del riciclato è fortemente dipendente dal grado di omogeneità degli scarti di partenza e dalla loro “storia” termica (esposizione alla luce e calore). Elevate percentuali di materiali estranei (metalli, carta, etc.), la presenza contemporanea di polimeri incompatibili e/o di polimeri estremamente degradati, abbassano fatalmente le prestazioni dei rigenerati ottenuti. Si suole quindi distinguere tra il riciclo delle materia plastiche omogenee (un singolo materiale o un gruppo di materiali reologicamente omogenei) e quello delle miscele eterogenee (tout venant, incluso larghe percentuali di alcuni materiali estranei). Nel primo caso le tecnologie impiegate sono ben consolidate, dato che vengono applicate da decenni. I manufatti ottenibili hanno proprietà inferiori ma sostanzialmente paragonabili a quelle dei polimeri vergini. I rigenerati prodotti da plastiche miste sono tendenzialmente molto più “poveri” e i manufatti ottenuti difficilmente possono sostituire le materie plastiche vergini. Sono invece ottimi sostituti del legno e del cemento. Un processo di recente introduzione è quello della purificazione del PVC mediante l’impiego di solventi. Il riciclo del materiale è preferibile rispetto ad altre alternative perché richiede poca energia e lascia intatta la possibilità di un successivo riciclo energetico. Non chiude però il cerchio perfettamente. Come per ogni materiale organico (carta, fibre, elastomeri, ecc.) ad ogni passaggio le proprietà decadono o si modificano profondamente. Per ripristinarle occorre procedere ad altri tipi di riciclo. Teoricamente è sempre possibile “smontare” la catena polimerica nei suoi costituenti. I processi di depolimerizzazione che sono stati impiegati su scala industriale non sono ancora molto numerosi. In genere riguardano i polimeri ottenuti per policondensazione. Ad esempio la metanolisi del PET è stata impiegata negli USA per le bottiglie, mentre in Italia è stata applicata alle lastre radiografiche (dopo il recupero dell’argento). In campo tessile la depolimerizzazione delle poliammidi è da tempo consolidata ed è possibile processare rifiuti plastici negli stessi impianti. Anche la depolimerizzazione dei poliuretani esiste da molti anni. Si ferma allo stadio dei precursori (polioli) e per il momento si usa quasi soltanto per gli scarti di stabilimento. Si può infine segnalare che, sempre limitatamente agli scarti di fabbrica, vi è un polimero, il polimetilmetacrilato, che si depolimerizza per via termica. Col ritorno ai monomeri di partenza e la loro purificazione è possibile riottenere polimeri di pari qualità rispetto ai vergini. Questo tipo di riciclo è applicabile soltanto a polimeri accuratamente selezionati e richiede più energia rispetto alla rilavorazione termomeccanica o al recupero con solvente, ma nel caso di un buon processo di riciclo chimico la differenza non è troppo elevata. Processi di demolizione delle catene polimeriche, termici o catalitici che siano, portano a miscele ricche in idrocarburi che potrebbero venir impiegate sia direttamente per l’estrazione dei monomeri, sia indirettamente per la sintesi degli stessi oppure venir reintegrate nel ciclo della raffineria. In questo ultimo campo si è ancora alla fase sperimentale. Particolarmente interessanti appaiono le prove fatte in passato di riciclo di plastiche miste direttamente in raffineria. Va ricordato che nelle raffinerie esistono numerose unità produttive la cui funzione è “spaccare” una miscela di idrocarburi contenente piccole percentuali di eterocomposti, in modo selettivo e controllato. I pesi molecolari medi di queste miscele sono ovviamente ben diversi rispetto alle plastiche. Le unità sulle quali si è lavorato (negli USA) sono sia catalitiche che termiche. Il cracking e reforming catalitici richiedono che le plastiche miste vengano prima disciolte in tagli di raffineria caldi, con una accurata filtrazione dell’insoluto. I processi termici invece accettano una alimentazione di materie plastiche finemente macinate sospese nella carica. In tutti i casi le materie plastiche non vengono depolimerizzate da sole, bensì aggiunte in piccola percentuale alle frazioni con cui vengono abitualmente alimentate le varie unità. Il giorno in cui verrà messo a punto il riciclo in raffineria darà un importante contributo alla soluzione del problema del riciclo delle materie plastiche. I motivi sono molti: le raffinerie sono disseminate sul territorio e quindi il tragitto dal punto di raccolta (ed eventuale pretrattamento) non è mai molto lungo; gli impianti esistono già e non occorre investire nella loro costruzione; intuitivamente si può ipotizzare che i costi di processo saranno molto diversi da quelli relativi alla lavorazione dei tagli petroliferi normalmente trattati; dopo un numero “n” di ricicli, fatalmente tutte le materie plastiche finiscono in una miscela estremamente eterogenea, i cui sbocchi sono altrettanto fatalmente limitati. Per ultimo si può brevemente accennare al fatto che vi sono altri possibili impieghi per i rifiuti plastici: per quelli misti il recupero di energia, la produzione di combustibili e l’additivazione del bitume, piuttosto che l’uso tessile per il PET.

CHIUDERE IL CERCHIO DELLE BIOMASSE

Nel caso delle materie plastiche ottenute da biomasse vi è da distinguere tra quelle dove la materia prima di origine vegetale sostituisce quella fossile ma i polimeri ottenuti sono del tutto analoghi, come alcuni poliesteri saturi o alcuni polioli per poliuretani, e altre in cui la macromolecola ottenuta risulta biodegradabile in condizioni relativamente blande, come gli amidi modificati, alcuni gradi dell’acetato di cellulosa, il PHB (polidrossibutirrato) o il PLA (acido polilattico). Il primo caso è quello ambientalmente più “intelligente” poiché si parte da biomasse, sequestrando anidride carbonica all’atmosfera, per ottenere plastiche totalmente riciclabili che possono aggiungersi allo “stock” dei materiali petrolchimici. E quindi rientrano nello schema riportato nel punto precedente. Nel caso delle materie plastiche biodegradabili ottenute da biomasse è necessario reintrodurle nel loro ciclo naturale, anch’esso per lo più spezzato dall’attività antropica. Il modo corretto per farlo è il compostaggio di buona qualità, cioè l’ottenimento di fertilizzanti che possano riportare al terreno tutti i nutrienti che sono stati sottratti nella fase della coltivazione. Infatti mentre il ciclo del carbonio si può chiudere anche con la semplice decomposizione della macromolecola, incluso attraverso la combustione, se la materia organica non si ricicla a concime non si chiudono i cerchi di tutti gli altri elementi.

GLI ATTORI NEL RICICLO DELLE MATERIE PLASTICHE

Questo grafico, anche se un poco complesso, riporta gli attori della filiera produttiva di manufatti plastici e la loro attività, compresa la produzione di materie plastiche vergini. Nella colonna di sinistra viene elencata l’attività mentre sulla destra sono indicati quelli che la svolgono. Le proporzioni delle figure e la dimensione delle frecce indica approssimativamente l’importanza rispettivamente dell’attore e del flusso.

La filiera produttiva del riciclo delle materie plastiche CLICCA SULL’IMMAGINE PER INGRANDIRE

Nello schema è stata omessa la figura del compounder per evitare problemi di leggibilità. Di fatto il ruolo della preparazione di un materiale pronto per la trasformazione viene svolto dal riciclatore, che spesso è anche un compounder di materiali vergini e che comunque ne svolge la stessa funzione: individuare una materia prima adattabile a una determinata applicazione e operare le necessarie modifiche. Anche in questo caso si possono osservare le integrazioni a valle e a monte dei vari operatori. È importante precisare che l’attività del riciclatore spazia da operazioni estremamente semplici (in alcuni casi è sufficiente una macinazione per potere rilavorare il materiale) ad altre molto complesse che includono lavaggio, densificazione, formulazione, ecc. Ma siccome il principale obiettivo è rendere la materia plastica idonea a un determinato impiego nella maggior parte dei casi vi è un taglio/miscelazione con altri materiali, incluso riciclati pre-consumo e/o materiali vergini.


Sito web: www.materioteca.it/Riciclo